Sassolini nello stagno

cerchi

Io credo che le parole bisogni accompagnarle, non lanciarle senza curarsi dell’effetto che provocano. Anche le parole apparentemente più innocue o perfino gentili nelle intenzioni. Credo di averlo sempre pensato, ma c’è stato un episodio che ha rafforzato in me questa convinzione.
Quando aspettavo il mio primo figlio, l’ecografia morfologica evidenziò un focus iperecogeno al livello del ventricolo sinistro del cuoricino del mio bambino. Il medico che faceva l’ecografia ce lo comunicò spiegando che era suo dovere avvisarci, che anche se il focus non era da mettere in relazione con patologie cardiache, alcuni studiosi lo ritenevano un indicatore per la sindrome di Down. Aggiunse poi qualcosa che suonava più o meno così “Ora vedete voi cosa fare, il mio dovere è gettare il sassolino nello stagno, ma non mi posso curare di dove vadano a finire i cerchi”. Ora io mi chiedo ancora oggi che senso avesse quella frase. Sapeva benissimo che avevamo scelto di non fare diagnosi prenatali e che a quel punto era troppo tardi e magari non le avremmo fatte comunque. Il suo discorso si concluse così.
Fratellomaggiore poi è nato senza anomalie cromosomiche (non ne sono del tutto certa però, se esiste un “cromosoma del pignolo rompiscatole” ne ha di sicuro qualche coppia in più), ma io non ho mai perdonato quel medico. E’ vero, era suo “dovere” dircelo, come ha più volte ripetuto, ma è il discorso dei sassolini nello stagno che non gli ho perdonato. Il fatto di averci lasciato lì, da soli, con i cerchi che si allargavano all’infinito.

19 pensieri su “Sassolini nello stagno

  1. agrimonia71 ha detto:

    Perfettamente d’accordo, anche perchè noi “comuni mortali” non abbiamo le loro stesse conoscenze e se era risaputo che non aveste fatto ulteriori indagini doveva tacere oppure non fare il ponzio pilato della situazione e spiegare meglio i pro e i contro

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  2. tramedipensieri ha detto:

    Sono daccordo con te…ecco perchè molti dovrebbero fare un corso specifico, se non riescono, che delighino ad altri il compito di riferire.
    Sono parole come chiodi, alcune.
    E non si riesce a dimenticarle…e sono proprio quei momenti delicatissimi, importanti che si deve fare attenzione…

    un abbraccio
    .marta

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  3. Topper ha detto:

    Assolutamente d’accordo. Il medico, oltre ad aver sbagliato in pieno ad esprimersi, non ha nemmeno compiuto del tutto il suo dovere che è anche quello di fornire un parere competente e mettersi, per quanto possibile, nei panni dell’assistito.

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  4. Pendolante ha detto:

    Rifugiarsi dietro al dovere assolto è il modus operandi di chi jon vuole coinvolgimenti. Molti medici ne fanno un’arte, ma è solo meschinità, arroganza, stupidità e una gran perdita di umanità. Fuori dal contegno del mio commento: sono indignata!

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    • Bisus ha detto:

      Per fortuna avevamo tanti altri medici intorno (mio marito stesso lo è, ma è un medico sportivo non sapeva quasi nulla di focus iperecogeni, ed è rimasto annichilito quanto me) che ci hanno rassicurato. Pensa poi che il focus è comparso anche nell’ecografia morfologica del secondo bambino e la dottoressa appena l’ha visto ha sorriso e ci ha detto, come se si trattasse di una cosa senza importanza (come di fatto pare sia), “oh guarda, abbiamo anche un focus iperecogeno!”. Nelle ultime ecografie era perfino sparito, mentre l’altro medico non ci aveva nemmeno accennato a questa possibilità! Per dire, diverse sensibilità…

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  5. Wish aka Max ha detto:

    Sempre di più i medici si autoassolvono trincerandosi dietro delle stronzate (pardon my french) epocali come “io ve lo devo dire”. C’è un video su TED di Barry Schwartz che parla del paradosso delle scelte, e tra gli altri esempi cita quello del medico, che alla domanda “dottore cosa dovrei fare” risponde “se fai A, avrai questi vantaggi e questi problemi, se fai B, avrai questi altri vantaggi e questi altri problemi”. E non è in grado di dare una risposta al paziente che cerca un CONSIGLIO. E un consiglio significa prendere una responsabilità. E una responsabilità presa significa la paura che domani sia rinfacciata. Ma questo significa tradire lo spirito della professione medica. Sic et simpliciter. Perché nel tuo caso specifico come diavolo si fa a documentarsi su un focus iperecogeno e sulle sue potenziali relazioni con Down? Allora tu, brutto stronzo (sempre pardon my french), hai il DOVERE MORALE di dire la tua, altro che gettare il sassolino nello stagno! Perché tu rischi che quello non sia un sassolino, ma un pietrone che genera uno tsunami, altro che cerchi!
    Sono oramai anni che dico spesso (specialmente alle persone a me più vicine) che le parole sono pietre, e che noi che abbiamo la fortuna di conoscere l’italiano dobbiamo usarle in modo appropriato, senza esagerare né da una parte né dall’altra. E questo sarebbe utile che ricordassero TUTTE le persone che si interfacciano col pubblico, e specialmente i medici. Ché a scrivere due ricette son capaci tutti. E anche (con un po’ di allenamento) a leggere un’ecografia. Ma decidere cosa dire e come dirlo no. Ma quello è parte INTEGRANTE della professione. Perché paziente non significa “che ha pazienza”, ma “che patisce”, e quindi che soffre. E il dovere del medico è quello di lenirla la sofferenza, non di acuirla. Altrimenti, andate a fare altro.

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  6. Bisus ha detto:

    Perfettamente d’accordo Max. Io lo dico sempre anche per quanto riguarda noi bibliotecari. Sono tempi molto difficili e come scriveva una collega qualche tempo fa, per molte persone la differenza tra l’essere e il non essere definitivamente sopraffatti dalla propria sofferenza, può passare dal contesto in cui ci si trova a vivere. Ecco, non dovremmo mai dimenticare che noi, in molti casi, facciamo parte di quel contesto. E che per qualcuno essere ricevuto con parole accoglienti, quando ti avvicini timoroso magari per chiedere aiuto nella compilazione di un modulo, può fare la differenza.

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    • Wish aka Max ha detto:

      E’ vero per chiunque lavori a contatto col pubblico. Ma anche quando per lavoro ci si relaziona con altre persone, anche se del settore, anche se professionisti tanto quanto te, l’approccio umano fa sempre la differenza. Un atteggiamento spocchioso può essere funzionale al raggiungimento di determinati obiettivi, ma nel medio-lungo termine pagano molto di più la disponibilità e la gentilezza. E se poi hai a che fare con persone al di fuori del tuo ambiente, “il grande pubblico”, per capirsi, allora la delicatezza e il non dare niente per scontato sono un obbligo morale, secondo me.

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