Ma non è il libro, sono io

selasi
Io vorrei proprio conoscerlo/a chi ha scelto il titolo del libro di Taye Selasi “La bellezza delle cose fragili“, edizioni Einaudi. Altre volte ho espresso la mia perplessità sulle scelte editoriali che spesso portano a tradurre i titoli in modo assolutamente fantasioso, quando non fuorviante, ma questa volta è diverso. Vorrei proprio conoscerli per chiedere come si arriva a tradurre un titolo come Ghana must go (espressione legata all’espulsione, trent’anni fa, di un milione di ganesi dalla Nigeria) in La bellezza delle cose fragili.  Certo il titolo originale poteva avere una connotazione geografica troppo forte che avrebbe potuto penalizzarlo (credo di aver letto qualcosa del genere da qualche parte). Ma un titolo così evocativo come quello scelto per l’edizione italiana rischia di creare troppe aspettative sbagliate. Almeno per me è stato così. Sempre per rimanere nell’ambito della traduzione o comunque dello stile ci sono altre cose che mi hanno disturbata, ma qui forse siamo nel campo delle mie idiosincrasie, non pretendo davvero di capire di queste cose. Credo, per esempio, che compaia almeno 7 volte l’espressione “succhiò l’aria tra i denti”, attribuita a diversi personaggi. Ma non si può ripetere così tante volte un’espressione così caratterizzante e soprattutto non si può attribuire quella particolarità a persone diverse (sembrano tutti preda di uno strano tic collettivo!). Ma mi fermo qui con lo stile, veniamo alla storia. Come ho accennato prima, ho trovato quel titolo molto evocativo, anche se non so nemmeno bene perché. Io, per dire, non penso che nelle ali di una farfalla ci sia più bellezza che nel tasso millenario di Tedderieddu (lo so, l’immagine è forse un po’ provinciale ma quella mi è venuta). Però quel titolo mi ha colpito. Ma non ho trovato niente di quello che mi aspettavo e la bellezza delle cose fragili deve essermi sfuggita tra le pagine. Intendiamoci ce n’è di bellezza come è possibile rintracciarne in tutte le storie, ma il mio bagaglio di percezioni e immagini riconducibili all’idea di bellezza credo sia sostanzialmente quello che era prima di leggere il libro. E’ un po’ difficile da spiegare, ma non riesco a dirlo diversamente. Ma la cosa peggiore, e quasi me ne vergogno, è che non sono riuscita a provare molta empatia per i personaggi. E io sono una che li inzuppa i libri, eh. Per cui mi sono trovata a leggere senza eccessiva partecipazione una storia di ingiustizie di dolori, di lacerazioni e di perdite. Ma non è il libro, sono io, davvero, è sicuramente un bellissimo libro.

Nota per chi non legge i commenti:
“In realtà il gesto di succhiare l’aria tra i denti, che poi produce uno schiocco decisamente connotante, è un intercalare frequentissimo nelle lingue dell’Africa Occidentale. Quindi quella che potrebbe sembrare una caratteristica alquanto bizzarra ricalca un modo di parlare, e insistere nel ripeterla serve a immergersi con più efficacia nell’ambiente evocato dal romanzo” Grazie alla precisazione di msguknow.

 

17 pensieri su “Ma non è il libro, sono io

  1. stravagaria ha detto:

    Ti confesso che ho anche io la stessa idiosincrasia per la ripetizione seriale delle connotazioni fisiche dei personaggi. E penso che se l’autore non riesce a cancellare dovrebbe farlo l’editor. In ultima analisi ci pensa il lettore tracciando una riga immaginaria su quelle espressioni che alla fine risultano trite anche quando sono originali. Sulla mania del cambio dei titoli c’è una blogger che ne ha fatta un’intera rubrica…e quasi sempre il titolo originale batte quello della traduzione italiana 😉

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    • Bisus ha detto:

      Mi fa notare msguknow che quello di succhiare l’aria tra i denti è un intercalare frequentissimo nelle lingue dell’Africa Occidentale (vedi il commento). E forse avrei anche dovuto immaginarlo… o forse no. Comunque ora almeno ha un senso. Devo aver letto qualcosa della blogger di cui parli 😉
      Ora comunque sono pronta per la Von Arnim

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  2. msguknow ha detto:

    In realtà il gesto di succhiare l’aria tra i denti, che poi produce uno schiocco decisamente connotante, è un intercalare frequentissimo nelle lingue dell’Africa Occidentale. Quindi quella che potrebbe sembrare una caratteristica alquanto bizzarra ricalca un modo di parlare, e insistere nel ripeterla serve a immergersi con più efficacia nell’ambiente evocato dal romanzo 🙂

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    • Bisus ha detto:

      Grazie!!! Lo sapevo che doveva esserci qualcosa che mi sfuggiva, ma a me era sembrata una caratteristica individuale, che poi estesa anche agli altri mi sembrava si, decisamente bizzara.

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  3. Signorasinasce ha detto:

    Mi è scappata la mano, cancella quella I di cui sopra:-) grazie.
    Volevo scriverti che io m’innamoro delle cose quando sono fragili.
    Non c’entra nulla col tuo post, lo so. Ma dovevo scriverlo.
    La fragilità mi commuove.
    Un bacio
    S

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  4. Miss Fletcher ha detto:

    Il titolo tradotto è molto evocativo, mi piace, certo non ha nulla a che vedere con l’originale e anch’io credo che nella traduzione non bisognerebbe troppo tradire il significato originale. Peccato che il libro non ti abbia colpita, non l’ho letto…quando un libro non mi piace io lo mollo a pagina venti!

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  5. swann matassa ha detto:

    mi incuriosisce questa tua recensione, perché in effetti il titolo colpisce, si vede che, anche se in modo deplorevole, stavolta hanno saputo farci… con ghana must go probabilmente avrebbero venduto la metà delle copie.
    io il libro non l’ho letto e ancora non so se lo farò, devo ammettere di essere un po’ prevenuto nei confronti dell’autrice perché si è prestata a quella buffonata di “masterpiece”

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    • Bisus ha detto:

      Grazie!!! Ti ringrazio davvero di cuore… non so però se riuscirò a continuare. L’ho fatto una volta con grande difficoltà, soprattutto nello scegliere i blog. Sono comunque felice del riconoscimento e andrò sicuramente a visitare gli altri blog colleghi di onoreficenza 🙂

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