Benedizioni

bisus pane

Ci sarà forse una vaga eco dei miei studi classici nella paura di gioire apertamente delle benedizioni, qualcosa che ha a che fare col non dover attirare su di sé l’invidia degli dei. O piuttosto l’eco molto meno vaga delle parole di mia madre, che mi zittiva categoricamente se osavo commentare che il pane nel forno si stava gonfiando e stava venendo proprio bene: l’occhio maligno di qualche mortale (ché lei di studi classici non ne ha fatti e il suo Dio non è certo un tipo invidioso) poteva essere in agguato.
Non che sia una persona in assoluto superstiziosa mia madre, o poco incline alla gioia, purché non se ne esplicitino troppo i motivi. E’ così ogni volta che mi viene da dirlo, “sono felice perché” mi sembra quasi di rovinare tutto e di vederlo quel pane abbassarsi e trasformarsi in pietra. Epperò ogni tanto ho bisogno di correre il rischio, di dirle a voce alta le parole della felicità e gustarne il sapore o di farle fluire attraverso una danza delle dita sulla tastiera. Ora per esempio ve lo dico che sono felice perché abbiamo fatto una cosa difficile, che solo un anno fa, ma in qualche momento anche la settimana scorsa, sembrava impossibile. E se non sono più esplicita questa volta non è per paura dell’invidia degli dei, del malocchio o dei rimproveri di mia madre, ma di un adolescente tignoso con un altissimo (e sacrosanto) senso della privacy. Fidatevi, però, so che c’è ancora tanta strada da fare, ma ora sono felice di quella fatta.

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