La mia quarantena in ordine alfabetico

A di “AIUTO!” (ma solo perché ansia era troppo scontata). Perché la tentazione di chiederlo, invocarlo, urlarlo, scriverlo, spennellarlo, sventolarlo, scolpirlo, mimarlo, è stata forte e frequente

B di “birra”. La grande scoperta dei miei 50 anni non credevo sarebbe diventato l’immancabile e salvifico appuntamento quotidiano delle 20.00, durante la reclusione. Si potrebbe pensare a questo punto che debba tornare al via e cambiare la A di “aiuto” in “alcolista”, ma per il momento la situazione è sotto controllo.

C di “cuffie”. Nei momenti in cui non sono loro a stressarti e a chiederti qualcosa indossano tutti le cuffie, per ascoltare musica, per giocare, per non sentirti. E tu che se non sei sola in casa (e non ridete, un tempo poteva pure capitare!) da quando sono nati loro non riesci proprio più ad indossarle le cuffie, casomai non li sentissi se hanno bisogno di te (il che potrebbe essere pure cosa buona e giusta qualche volta, ma questa è un’altra storia) parli da sola. O vai fuori di testa quando il telefono del marito squilla e devi alzarti tu perché lui, cuffie in testa, canta “A citta’ ‘e pulecenella” davanti al computer e col cavolo che lo sente il telefono.

D di “DaD” O di “delirio”, che è quasi lo stesso. In casa abbiamo più dispositivi che metri quadri, dovremmo pure avere una buona connessione, ma i problemi con le piattaforme sono stati quotidiani. Tra meeting id non trovati, microfoni disattivati, richieste di accesso non accettate, e accidenti vari, fratellominore è riuscito a seguire solo un terzo delle lezioni. Fratellomaggiore è andato liscio su google classroom, ma ci ha imposto il distanziamento didattico che ha un raggio molto più ampio di quello sociale. Praticamente dobbiamo sparire a distanza di sicurezza da eventuali “origliature” anche involontarie, il che in una casa piccola come la nostra può significare stare rinchiusi nel bagnetto in camera per tutta la durata della lezione. Le restrizioni di Conte possono solo accompagnare.

E di “escallones!”. Confesso di essere stata in difficoltà per questa lettera e di aver chiesto aiuto al marito. Che ovviamente non si è fatto trovare impreparato. Ma confermo e sottoscrivo.

F di “fratelli”. Chè si, a volte ci hanno fatto impazzire, perché dover distribuire spazi e tempi per così tanto tempo in così poco spazio non è decisamente facile, però sono grata della loro fratellanza. Non vorrei generalizzare e sono sicura che esistono dei figli unici che se la sono cavata benissimo, ma nel dubbio sono grata del fatto che siano due.

G di “gabbia”. Perché siamo pure persone privilegiate e proviamo a non lamentarci, ma è inutile girarci intorno: un appartamento di 70 metri quadri, per quanto pieno di libri, di dispositivi di connessione e di porcherie da mangiare, ci mette molto meno di 50 giorni a diventare una gabbia.

H di “horror”, quel genere che per vendicarsi del fatto che lo avessi sempre odiato sia nei libri che al cinema, all’improvviso a giorni sembrava volersi vendicare sconfinando pericolosamente nella mia vita reale.

I di “isola”. A momenti sembrava proprio facesse il suo sacrosanto dovere quel mare tanto amato ma a volte anche tanto odiato, perché troppe volte ti ha separato dai luoghi delle tue occasioni mancate. E sembrava che lo tenesse lontano il mostro, ma poi invece sembrava che no e poi di nuovo che si. Ma intanto non avresti voluto essere da nessun’altra parte che nella tua isola.

L di “libri”. Confesso, ahimè, questo è un punto non condiviso dalla famiglia, ma ha riguardato solo me (si rifaranno con la N di Netflix) e confesso anche che ho sempre detestato certa retorica sull’effetto salvifico dei libri, ma lo dico con molta serenità: senza di loro non ce l’avrei fatta. E non pensate nemmeno per un momento che stia parlando di quei contenuti altamente letterari o filosofici che aiutano attraverso la riflessione o la meditazione, no sto parlando del semplice, elementare potere delle storie.

M di “mamma”. Di mamma a ripetizione. Di mamma vieni un attimo, mamma guarda, mamma mi prepari, mamma mi dai, mamma mi aiuti, mamma dove sono, mamma non trovo, mamma senti. E tante volte avrei voluto solo “smammarmi” e smammare.

N di “Netflix”. Vedi alla lettera L di libri, il corrispettivo per la parte maschile della famiglia.

O di “orgoglio”. Ovviamente tra dieci minuti potreste sentirmi negare tutto quanto e urlare che mi hanno fatto impazzire e basta, che avrei preferito qualsiasi alternativa al restare chiusa in casa tutto questo tempo con loro, mi potreste sentire, insomma, scegliere la famosa opzione B al buio, ma ora lo scrivo davvero sinceramente: sono orgogliosa di loro e di noi. Sono orgogliosa di tutti i passi indietro fatti da ciascuno di noi singolarmente e di tutti i passi avanti fatti insieme. Di tutte quelle volte in cui c’era un bisogno opposto io-tu o noi-voi con una marcata linea di demarcazione in mezzo e anziché costringere l’altro a passare dalla nostra parte abbiamo scelto insieme di metterci tutti a cavallo della linea. Magari attraverso un processo non proprio indolore e disarmato, ma ci siamo riusciti.

P di “Playstation” altra grande “amica” mia di questi giorni di reclusione. Non avrei mai pensato che io e lei saremmo potuto arrivare a un simile trattato di non belligeranza o che avrei potuto vederla perfino come possibile alleata, quando non congiunta o in una relazione stabile. Anche quando mi accorgevo benissimo che stava sconfinando, che lei a cavallo della linea col cavolo che ci sta.

Q di “quando”, la grande domanda

R di “ricrescita” ché si, sarai pure una di quelle fortunate con pochi capelli bianchi, ma lei c’è. Inesorabile come la vita che va avanti nonostante la quarantena

S di “Smart Working” che è il lavoro che fai a casa e che i figli sono pure fieri che tu lo faccia, purché con quel nome inglese non se la tiri troppo e pretenda di interferere con i loro “solo un attimo, che ci vuole?”

T di “tempo.” Quello trascorso, quello percepito, quello perso, quello rimpianto…

U diuscite”. Torna al via, al punto A

V di “videochiamate”. E niente non ci voglio nemmeno pensare. Che la mia faccia vista nel piccolo riquadro della videocamera, prima che qualcuno mi spiegasse che per attenuare l’effetto Maga Magò avrei dovuto inquadrarmi dall’alto, mi tormenterà per il resto dei miei giorni. Vedi alla voce H.

Z di zie. Quelle vere o finte che finalmente possiamo andare a trovare.

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