Nel testo teatrale di Francesca Zanni, Tango, una giovane donna argentina sequestrata dalle milizie governative nel 1976 racconta la sua vicenda, e la sua narrazione si alterna a quella di un giovane che agisce con lei sulla scena. Apparentemente si tratta di due monologhi privi di alcuna connessione, man mano che si va avanti, però, si intuiscono delle relazioni tra le due storie che verranno rivelate verso la fine: durante la prigionia la donna ha dato alla luce un bambino, che le è stato sequestrato da un colonnello che non poteva avere figli e questo figlio è l’uomo che è con lei sulla scena.
Ho visto la rappresentazione di Tango 12 anni fa a Palermo, durante i lavori dell’assemblea nazionale di Amnesty International e ancora lo porto nel cuore. E’ terribile e bellissimo allo stesso tempo. Spero verrà rappresentato ancora, ma in mancanza d’altro consiglio anche solo la lettura del testo.
Perchè mi è venuta voglia di scrivere di questo pezzo teatrale dopo così tanto tempo? Perchè pensavo alle parole, alla loro forza, a come le usiamo e a come è cambiato il mio rapporto con le parole dal momento in cui ho assistito alla rappresentazione di Tango. Carla (così si chiama la giovane donna), per cercare di sopportare l’insopportabile durezza della sua prigionia a volte fa un gioco. “Penso a una parola. E ci rimango attaccata, la inseguo, non lo so nemmeno io dove posso andare a finire. Posso starci le ore, non mi accorgo del tempo che passa. E sono felice.”
Ci sono parole piccole e parole grandi, parole per i giorni normali e parole per i giorni speciali, parole che le puoi tenere sulla punta delle dita e parole che ti riempiono tutta la testa e non lasciano pensare ad altro. “La parola vita o la parola libertà, ecco, queste sono parole che non ti fanno pensare ad altro. Sono parole per i giorni speciali. Invece le parole piccole vanno bene per tutti gli altri giorni, per i giorni normali, per passare il tempo. Fiore, per esempio, o farfalla o strada o casa…no, casa è una parola grande.”
E siccome le parole chiamano parole mi viene in mente anche La storia di Mina di David Almond e le “attivita straordinarie” che la bambina annota nel suo diario “Scrivete una pagina di parole della felicità” (versione felice) o “Scrivete una pagina di parole della tristezza” (versione triste). Certo alcune parole potrebbero stare da una parte o dall’altra, a secondo di chi le scrive. “Casa” per esempio io dove la scriverei? Nella pagina della tristezza, perchè ancora non ho realizzato il sogno di una casa tutta mia, o nella pagina della felicità, perchè non dovrebbe mancare molto alla realizzazione di quel sogno e perchè comunque una casa io l’ho sempre avuta? Non ho bisogno di pensarci a lungo. Casa è una parola grande, una parola della felicità.