La scatola del cucito

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Certe sere d’estate nella veranda di mia madre in paese c’è un tale viavai di gente che sembra un’appendice della piazzetta di fronte o del bar di fianco. I bambini  entrano e si versano da soli l’acqua dalla caraffa e i “posso andare in bagno” si sentono più che a scuola prima di un’interrogazione difficile.
Proprio in una di quelle sere qualche anno fa, mentre finivo di sparecchiare entra in casa il mio cuginone giramondo, uno di quelli che salta su un aereo che lo porterà a Singapore con la stessa disinvoltura con la quale io prendo la linea M per andare in centro, e non solo perché la sua donna fa la hostess per la British. F. dunque entra, si versa i suoi soliti 5 o 6 bicchieroni d’acqua poi si dirige verso l’angolo del camino, apre la scatola del cucito di mia madre, tira fuori un ago e comincia a togliere via una spina dall’indice. “E’ bellissimo, a casa mia non trovo mai niente, invece qui posso anche non venire per anni, ma poi ritrovo sempre quello che cerco”, commenta riponendo l’ago al suo posto. Mia madre che entrava proprio in quel momento ha fatto la ruota e ha registrato perfettamente la frase per ripropormela ogni volta che mi fa la predica per il mio disordine. Che poi mica è sempre vero, eh, che da lei le cose sono sempre al loro posto e si ritrova sempre quello che si cerca. A parte gli aghi e la sensazione di essere a casa.

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